Grazie alle ragazze della pallavolo l’Italia Team raggiunge quota 40, come a Tokyo, ma con due ori in più. Tra quest’ultimi uno è sicuramente quello di Alice D’Amato, il primo della storia della ginnastica femminile e dello sport italiano, nell’attrezzo forse più iconico dell’artistica delle donne, la temutissima trave d’equilibrio. Delle 40 medaglie, oltre il 10 percento le ha portate la FGI, seconda soltanto al Nuoto (a sei con il fondo) e pari merito con la Scherma a cinque. Dietro, a quota quattro, si piazzano il Tiro Sportivo e il Ciclismo (tre su strada e una pista), e l’Atletica Leggera con tre. E già questo è un risultato che, con onesta intellettuale, premia scelte e decisioni tecniche e dirigenziali di un triennio vissuto pericolosamente, parafrasando il titolo di un classico cinematografico.
Un esempio? Claudia Mancinelli, allenatrice semisconosciuta, sulla quale la Federazione ha puntato con coraggio e convinzione dopo l’addio di Julieta Cantaluppi, migrata in Israele. Una tecnica alla Simone Inzaghi, possiamo dire, quando il presidente della Lazio lo prese dal settore giovanile, dopo il dietrofront di Marcello Bielsa, lanciando, di fatto, il futuro campione d’Italia con l’Inter. “Ci vuole calma e sangue freddo”, cantava Luca Dirisio, e soprattutto la capacità di non lascare la randa quando soffia il vento del pourparler social. Ora tutti si sono accorti di quanto sia brava, protettiva e determinata la Mancinelli, che non a caso è il prodotto di una società, la Ginnastica Fabriano -la stessa nella quale è cresciuta Julie – scuola di vita e di sport, eccellenza tra le eccellenze della nostra Serie A dei piccoli attrezzi.
Un altro esempio? Lo scudo eretto dal Consiglio Direttivo Federale a protezione del progetto Accademia di Desio, centro di preparazione di alto livello che ci invidiano oltreconfine, paragonato ad un lager da alcuni dei nostri media, e da oggi restituito alla sua reale dimensione di fucina di campionesse, anche da quegli stessi media. Uno scudo trasparente alzato, nel rispetto del lavoro degli organi inquirenti, per evitare che la giustizia sommaria dei salotti televisivi e della carta stampata non sportiva abusassero del proprio potere mediatico per violentare i sogni di un gruppo di allieve e insegnanti, di cui oggi va fiero il Paese. Non era facile navigare in acque tempestose, ma il faro del benessere e della salute degli atleti ha portato il Presidente Tecchi a cucire sui body dei ginnasti azzurri, a partire dal prossimo mondiale di Aerobica, il logo dell’Istituto Auxologico, centro della lotta ai disturbi del comportamento alimentare.
Emanuela Audisio, su La Repubblica, descrive Tamberi come un ragazzo ossessionato dalla dieta: “A Tokyo era 76 chili, a Roma 74,2, qui 72, un solo bicchiere di acqua al giorno, pare, gli elettroliti sì, Sali minerali ma quelli vengono eliminati rapidamente. Solo il 3,3% di massa grassa in un uomo alto 1,91. Le costole di un fachiro. I calcoli renali come conseguenza di un dimagrimento straziante”. Ecco, Gimbo è il capitano dell’Italia Team a Parigi, il portabandiera che ha fatto emozionare il Presidente della Repubblica e l’idolo di tanti ragazzi. Gli auguriamo di tornare in forze e di ritrovare il posto che merita nel gotha dello sport olimpico, intanto però siamo fieri di ricordare che i nostri tesserati afflitti da DCA avranno assistenza gratuita fino a diagnosi e che la Federginnastica è in prima fila nella lotta ai disturbi alimentari, una delle piaghe del nuovo Millennio.
L’avventura sulla Senna era iniziata, il 26 luglio, con la fede persa dall’olimpionico del salto in alto e si è conclusa, per la ginnastica, con l’anello di fidanzamento di Massimo Bertelloni ad Alessia Maurelli. Una ragazza del 1996 che è riuscita a vincere due medaglie olimpiche e ad arrivare quarta, perché ha vissuto una vita da atleta, in un ambiente sano. “In questo bronzo non c’era voglia di rivalsa, ma solo passione e lavoro, nonostante tutto. Siamo rimaste in silenzio per tanto tempo e la miglior risposta è stata questa. E se la medaglia è storia, l’anello di Massimo, che quasi quasi pensavo di regalarlo io a lui, è la chiusura di un cerchio: Entrambi sanno di eternità”, ha detto la capitana in zona mista. “La cosa di cui vado più orgogliosa – ha aggiunto Maccarani, affiancata da Valentina Rovetta e Olga Tishina – è di aver portato in pedana anche due ginnaste di 28 e 26 anni, integre fisicamente dopo dieci anni. Evidentemente il lavoro è stato dosato bene, a livello fisico e mentale”.
Quella delle Farfalle è stata una medaglia fortemente voluta e cercata, arrivata nonostante un clima complicatissimo da caccia alle streghe. La Nazionale azzurra ha fatto quadrato intorno alla sua direttrice tecnica e ha scelto il modo migliore per reagire: far parlare la pedana. Il bronzo di Sofia Raffaeli ne è stato un primo esempio, ma il vero capolavoro di Emanuela Maccarani, responsabile anche delle individualiste, c’è stato nel concorso a squadre. “Mai e poi mai avrei portato in pedana una squadra olimpica se le accuse che mi sono state mosse fossero state vere. Sono una professionista, una persona di sport. Non avrei mai potuto portare queste ginnaste avanti nel lavoro, trasmettendo ciò che ho dentro di me. Io trasmetto messaggi, emozioni e correzioni. Una dose di coraggio e combattività che vedete in gara, è ciò che immagazzinano dalle mie parole, dal mio modo di essere e dal mio modo di fare. Quello che mi fa sorridere è che queste ragazze sono colleghe e compagne delle presunte maltrattate. Non riesco a capire come sia stato possibile lasciarmi ad allenarle, se davvero fosse successo ciò che si dice. Le immagini che sono uscite, di ragazze anoressiche e potenzialmente soggiogate da me, non possono essere abbinate a una preparazione olimpica e cozzano contro la decisione di queste ragazze di rimanere per giocarsi una medaglia olimpica. L’accademia di Desio non è com’è stata descritta, è un centro d’eccellenza dove si costruiscono grandi atlete”.
Mentre Emanuela parla le sue ginnaste la circondano quasi a proteggerla. E la Federazione intera, in maniera figurata, abbraccia le proprie eroine, a cominciare dal vertice che ha visto premiare, ieri, una strategia garantista, volta, da un lato a tutelare tutti i suoi atleti, alzando al massimo le proprie antenne, commissariando Desio e attivando gli strumenti di controllo istituzionali, a partire dal Safeguarding Office, dall’altro però anche a salvaguardare gli investimenti della preparazione olimpica del CONI e il lavoro e l’onorabilità dei propri staff tecnici, che, fino a prova contraria, sono tra i migliori e più specchiati al mondo. “Non avevo bisogno di una rivincita, né la volevo”, precisa la coach di Rho, alla settima esperienza ai Giochi, con quattro successi d’insieme e uno individuale nel suo palmares. “Il bronzo è dedicato a lei, alla nostra Manu!”, precisa, a nome di tutte le sue comapgne, la Maurelli, futura signora Bertelloni.
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